Silvia Magnaldi - Specialista in Radiologia - Blog di Medicina, Attualità e Sport

Ho frequentato le scuole in epoca pre-computer, quando i temi più belli venivano letti vicino alla cattedra, poi la facoltà di Medicina, prendendo appunti a mano e riscrivendoli a casa, ed infine una scuola di specializzazione diretta da un Maestro che mi ha trasmesso regole molto precise sulla metodologia di approccio agli esami radiologici e sulla stesura dei referti, prodotto quotidiano del lavoro del Medico Radiologo. Sono cresciuta con l’idea che il referto dovesse essere non solo corretto, ma anche bello dal punto di vista stilistico e grammaticale.

Pur non essendo una nativa digitale, forse anche per il tipo di specializzazione scelto mi sono abituata rapidamente ad una vita senza la penna in mano. Più tardi mi sono arresa allo tsunami dei social e della comunicazione ridondante ma coartata.

La storia dei contenuti dei referti radiologici è lunga e parallela all’evoluzione tecnologica ed ai conseguenti adattamenti della figura professionale del Medico Radiologo: con l’enorme incremento dei processi patologici da conoscere, sono aumentati anche i parametri da valutare per ciascuna tecnica in uso e diversificate le competenze, distinte in subspecializzazioni.

Ciononostante, lo stile dei referti si è modificato più lentamente della tecnologia. Nella mia ormai lunga carriera ho visto e purtroppo continuo a vedere referti iperdescrittivi ma con scarso contenuto (ipoconcludenti), frasi chilometriche piene di relative (anche grammaticalmente scorrette) oppure referti standardizzati di poche parole, adatti alla descrizione di un torace ma anche di un mobile. I referti relativi ad una metodica (ad esempio, l’ecografia) non sono adattabili ad altre (ad esempio, la risonanza magnetica), eppure vengono riadattati. In molti casi dal referto trasuda il terrore di rivalse medico-legali, per cui ogni paragrafo è infestato da perifrasi difensive (“per quanto possibile giudicare”, “tenuto conto di” questo o di quello).

I due aspetti più inquietanti, soprattutto negli esami complessi e dunque multiparametrici, sono tuttavia l’assenza di un quesito e di altre informazioni che sottendano la conoscenza della storia clinica del Paziente e la frequente (e purtroppo spesso volontaria) assenza di conclusioni.

Forse per il mio corso di studi, all’inizio della mia carriera dettavo dei referti piuttosto lunghi e discorsivi, non sempre corredati da conclusioni. Ho cambiato radicalmente stile dopo un’esperienza lavorativa in Austria, in un grande Istituto Universitario a Vienna. Lì gli specializzandi imparano a fare dei referti ordinatissimi, con regole ferree. Facendo parte del gruppo docente, tra i miei compiti c’era anche il controllo dei referti e spesso la refertazione in urgenza. Purtroppo refertare in un tedesco corretto è molto difficile, quindi ho dovuto imparare non solo un linguaggio scientifico accettabile ma anche a redigere referti completi con un patrimonio linguistico più povero degli altri, ed in questo gli specializzandi mi sono stati di grande aiuto.

Tornata in Italia ho mantenuto e diffuso (insegnando o dando indicazioni ai collaboratori, in quest’ultimo caso non sempre con esito soddisfacente) lo schema di refertazione imparato, apprezzato anche dai clinici.

Fare un referto è un lavoro complesso, che costa fatica ed implica uno studio costante. Il referto deve avere un ordine e spesso deve contenere precise informazioni (numeriche, ovvero digitali e dunque ripetibili); un tipo particolare di referto, su cui anche la SIRM (Società Italiana di Radiologia) sta lavorando molto, è il referto strutturato, già in uso in alcuni ambiti come la senologia, la cardioradiologia, la coloproctologia e la radiologia toracica, strumento clinico importantissimo perché influenza la terapia e la prognosi dei Pazienti.

Credo che per imparare a refertare correttamente sia necessario iniziare a farlo presto (nelle scuole di Specializzazione) e secondo criteri standardizzati, condivisi tra i Radiologi.

Ho dunque scritto una sorta di guida ad un referto ordinato, con motivazioni e caratteristiche del contenuto che personalmente ritengo importanti. Ho chiesto un parere a due stimati colleghi (i Dr.i Giancarlo Addonisio e Gianni Morana, entrambi ottimi radiologi con incarichi apicali e molto attenti all’argomento) e il documento che segue è il risultato di riflessioni condivise.

Ringrazio i Colleghi ma soprattutto chi vorrà commentare.

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10 Commenti

  1. Paolo Sartori

    Tecnicamente perfetto e anche bellissima introduzione 🙂

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    • Silvia Magnaldi

      Grazie, Paolo

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  2. Orlando Catalano

    Vari aspetti sono molto interessanti. Significativa in particolare la mediazione del referto. Il radiologo deve assumersi le proprie responsabilità di medico (e non mi riferisco alle responsabilità medico-legali ma a quelle propriamente mediche) ed interagire in maniera non mediata con il paziente/utente. Anche per le procedure interventistiche, come una biopsia, è bene che il referto sia ritirato presso l’operatore che le ha eseguite, in modo non solo da fornire spiegazioni adeguate ma anche da avere un raccordo sulla congruenza o meno dei reperti cito-istopatologici e quelli dell’imaging preprocedura.

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    • Silvia Magnaldi

      Molte grazie per il commento. Credo che il contatto non mediato da altre figure professionali tra Medico Radiologo e Paziente aumenti la nostra visibilità e la comprensione del nostro ruolo, ma implichi contemporaneamente un aumento delle nostre responsabilità e la necessità di un maggiore impegno per mantenere alta la qualità del nostro lavoro.

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  3. Stefania Gava

    Ho letto l’articolo, mi è piaciuta la premessa e ho imparato qualcosa di nuovo.
    Ad esempio non sapevo del LI-RADS e del MI-RADS😳🤦🏻‍♀ e mi rendo conto che cerco di fare il referto strutturato, ma ancora su certe cose faccio fatica, tipo non sempre scrivo le conclusioni in eco perché tendo a descrivere e tipizzare i reperti nel testo e mi pare di essere ripetitiva a riscriverli. Mi è più facile, invece, in RM, d’obbligo e automatico in senologia.
    Mi piace il fatto di aver sottolineato che ci deve essere la comunicazione del referto al paziente, è la cosa a cui tengo di più e che mi dà soddisfazione e in cui credo molto. Spesso, senza paura, esprimo anche i miei dubbi e i miei limiti al paziente quando non sono sicura e lo indirizzo a qualcuno che ne sa più di me e vedo che ho ritorni positivi, anche se magari ho can nato. Sono convinta che già questo limiti il contenzioso e comunque ti fa buona pubblicità.

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    • Silvia Magnaldi

      Grazie, Stefania

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  4. Carlo Fortunati

    Sono da tempo molto interessato al referto strutturato e pertanto leggo tutti i lavori che trovo sull’argomento e partecipo a lectures in occasione di congressi nazionali e internazionali.
    Penso che sia necessario fare uno sforzo ‘per fare referti ordinati , oggettivi, e che “parlano la stessa lingua” a tutte le latitudini. Ho trovato molto interessanti le tue considerazioni e i suggerimenti pratici che ci dai e che sicuramente integrero’ nei miei referti.
    Grazie, Carlo

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    • Silvia Magnaldi

      Grazie, Carlo, conoscendoti da tempo immagino la serietà con cui affronti il problema.
      Sul referto strutturato è in corso un grande lavoro da parte della SIRM, ma questo è un capitolo a se stante.
      L’ordine nei referti e soprattutto la dimostrazione che noi Medici Radiologi siamo in grado di formulare e seguire un ragionamento clinico potrebbero darci maggiore visibilità o restituirci quella che, per varie ragioni, negli ultimi anni abbiamo perso.

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  5. Gabriele Levrini

    Preziosa la sottolineatura da parte del dr. Catalano della importanza della verifica – in carico al Medico Radiologo che ha effettuato un prelievo tissutale – della “congruenza o meno dei reperti cito-istopatologici e quelli dell’imaging preprocedura”.

    Grazie, dr.ssa Magnaldi, per l’instancabile attività di insegnamento.

    Gabriele

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    • Silvia Magnaldi

      Grazie a chi legge, sempre.

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